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Scritto da 

Niccolò Budoia

28 febbraio 2025

EDITORIALI

L’articolo di stamattina sul Rally Day Due Castelli ha sollevato un polverone di discrete dimensioni, con repliche fuori fuoco. Quindi evidentemente mi sono spiegato male, e non è il massimo per chi abbia anche la presunzione di fare il giornalista.

Link articolo precedente: https://www.rallydreamer.com/news/cosa-ho-visto-al-due-castelli


Quindi chiariamoci meglio, o almeno proviamoci.

Per prima cosa, il mio bersaglio non era il Rally Day Due Castelli, perché prendere di mira quella gara sarebbe da poverelli oltre che un po’ da stupidi. La festa che è stata creata e assicurata dall’organizzazione, l’ho detto e lo ripeto, è stata veramente bella, e vivere un clima rilassato e divertente come quello non accade spesso. La gara non viene e non va intesa come un rally con ambizioni mondiali (e qualcuno che mi ha chiamato poco dopo la pubblicazione, e che ringrazio, mi ha fatto accorgere che questo non era specificato: era sottinteso, ma questo obiettivamente ha portato a confusione), ma come una festa organizzata per vivere un weekend di divertimento. Questo mi è sempre stato chiarissimo, e non l’ho messo in dubbio.

Il centro del ragionamento, voglio sottolinearlo per bene, è il modello che qualcuno (molti, anche a giudicare dalle reazioni al primo articolo) vorrebbero importare qui da noi. E qui la questione si fa dannatamente complessa. Perché se è vero che in Italia per correre ci vogliono tanti, probabilmente troppi soldi, da noi si è coperti se si butta giù un muretto, non si viene liquidati per 6 mila euro se si tirano le cuoia, non si hanno 13 mila euro se si hanno danni permanenti. Si pagava 400 euro, e quindi pochissimo, e questo non può che essere positivo. Ma vi immaginate oggi correre gare perennemente senza tracking, senza che la direzione gara possa avere più il controllo della situazione sulle prove speciali in un momento storico in cui continuano a mancare commissari? Siamo d’accordo sul fatto che questo ci porterebbe a rinunciare a uno standard di sicurezza estremamente elevato? Si è fatto in passato e per tantissimo tempo, ma questo non vuol dire che si debba rinunciare alla tecnologia che cinquant’anni fa (o venti, o quindici, o quelli che erano) non c’era.

Chi è consapevole dei rischi che corre, è chiarissimo che fa bene a correrli. E attenzione, nessuno chiede che questo non si possa fare. Ma magari non qui, ed ecco secondo me perché. Sappiamo tutti come il rallismo, ma direi anche l’automotive, stia attraversando una crisi senza precedenti, tra sfide che mai si erano presentate alla disciplina e soluzioni difficili da immaginare anche dai più importanti amministratori delegati del settore. Il rally è tollerato con sempre maggior fastidio dai territori attraversati dalle gare, che spesso non vorrebbero vedere le corse passare davanti casa loro e quando possono fanno saltare le prove speciali con raccolte firme temerarie.

Come sarebbe vissuto questo ambiente se non dimostrassimo attenzione nei confronti della sicurezza? E questo non significa che in Italia vada tutto bene, che le regole siano tutte giuste, che i costi siano corretti. Riassumendo, la mia non è una difesa dello status quo, e vedo anche io quali siano le storture e i problemi italiani. Ma quello che temo non sia chiaro ad almeno una parte del nostro ambiente è il modo in cui al Due Castelli i costi possano essere così tanto più bassi rispetto all’Italia: assicurazioni molto diverse dalle nostre, servizi in gara agli equipaggi limitati, standard molto diversi da quelli italiani.

Detto questo, non sono un poliziotto o un giudice e non ho nessuna intenzione di dire alla gente quello che deve fare. Se uno vuole correre il Due Castelli consapevole di questo, che lo faccia. E anzi lo auguro agli organizzatori, che si iscrivano moltissimi equipaggi anche l’anno prossimo: perché se lo meritano, perché lavorano con passione, perché il weekend è stato divertente per tutti. E peraltro questo è un universo a parte, non paragonabile non solo all’Italia, ma nemmeno (anche questo era sottinteso, ma bene chiarirlo in modo esplicito) al resto delle gare croate. Un unicum da preservare.

Ma come tutti gli unicum, c’è un motivo per cui restano da soli senza produrre stampini che facciano riprodurre il modello. Le condizioni in cui il Due Castelli è nato ed è cresciuto sono un microclima perfetto, che credo non possa essere trasportato in alcun altro luogo se non a patto di snaturarlo. E non perché lì non ci fossero grandi hospitality in assistenza stile WRC, ma perché i danni che potrebbero derivare all’intero movimento nel caso in cui qualcosa andasse storto penso sarebbero molto più grandi dei benefici che comunque stanno arrivando già oggi. Ne è prova il fatto che persino ACI Team Italia aveva lì due suoi piloti, Matteo Bernini (che ha vinto il Gravel Rally Challenge) e Giovanni Trentin, che vedremo nel CIRT e nel WRC. È indubbio, come ha fatto notare qualcuno, che gare di questo tipo possano aiutare a far emergere i talenti, che possono correre a poco prezzo e con qualunque cosa. Ma quale danno emergerebbe da una fatalità causata dalla mancanza di sicurezza? Immaginate il battage mediatico che ne deriverebbe? E a quel punto, chi vorrebbe legare la propria immagine al nostro mondo?

Questo era quello che volevo mettere in chiaro nell’articolo precedente, “Cosa ho visto al Due Castelli”. Liberi, come sempre, di essere d’accordo o in disaccordo.

Chiariamoci sul Due Castelli

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